A Messa di beché

Ricordi di S. Giovanni

Fonte di richiamo, di nostalgiche memorie è la nostra cara e bella Basilica. In questa gradita circostanza della “Strenna”, mi sovviene la “Messa di beché”.
I beché sono i macellai. Nel tempo di cui parliamo, più di cinquant’anni fa, i beché si erano attestati al confine delle due parrocchie (S. Giovanni e S. Michele) schierati in gran contesa commerciale per l’accaparramento del consumatore, in verità allora alquanto scarso per la penuria di quattrini.
Oltre a questo schieramento di linea, tre macellai: Puzén, Badon e Pinèta si erano triangolati intorno alla Basilica nella lotta di accerchiamento.
Il Badon quasi addosso alla chiesa, il Puzén in Cuntrà di Carabinieri (Via Cavour), il Pinèta in Savigu (Via Montebello).
Ma il grosso rimaneva sempre al confine, in Cuntrà di Beché (Via Carlo Porta). In quel breve tratto di strada, dai due lati, la carne si esponeva al pubblico nelle vetrine e contro i muri esterni delle botteghe, tagliata così bene e con arte sapiente da far mandar giù i “magoni” di desiderio soltanto a vederla.
Dai due confini non era raro sentire questo incitamento all’acquisto, mentre il macellaio agitava un bel pezzo di manzo pronto per essere arrostito: quarda che tòcu da S. Miché; guarda che tòcu da S. Giuàn!
Altri soverchiavano urlando a squarciagola: brusciti alla cortella, spezzatini a misüa da buca; niùla pa’l risotu, ossi da broeudu; fritüa mista, roba da lessu, roba da rostu!
I macellai si alzavano ch’era ancora scuro per essere pronti a servire la clientela di òssi, la poveraglia che usciva da Messaprima ed aveva al massimo cinquanta centesimi da spendere tra carne e ossa; poca carne e molte ossa.
Questa clientela era preziosa, poiché consentiva ai beché di smaltire i ritagli tolti dalla mondatura della carne per i “signori”.
Fatto sta che, per questo servizio ultramattutino e per il prolungarsi della vendita fin dopo l’ultima messa, i macellai erano impediti di adempiere al precetto domenicale di partecipare alla S. Messa. Impensieriti dal dubbio atroce di passate all’inferno dopo morti, anche per altri peccati relativi alla qualità e al peso della carne distribuita, inoltrarono una supplica al Prevosto per ottenere una messa speciale per loro, in anticipo sulla Messaprima.
La supplica fu accolta, con grande soddisfazione dei macellai ai quali s’erano aggiunti, a dar forza alla richiesta, i salumieri. Questa Messa, per distinguerla dalla ordinaria prima Messa, venne chiamata Messa di Beché, così come era stata nominata Cuntrà di Beché la via Carlo Porta, per il vivaio di macellai che la popolava.
Questa messa trovò subito fortuna. Tutti i mattinieri per necessità o per intraprendenza la frequentavano.
I “grappivendoli” per essere pronti soddisfare le esigenze mattutine dei diversi “cicchettai”; i furmaiati che dovevano preparare il banchetto provvisorio; i contadini dei cascinali più lontani; le povere mamme che avevano molti bambini e che approfittavano del loro sonno per l’abbandono di qualche mezzora e finalmente i venditori ambulanti che dovevano arrivare in tempo alle località del loro posteggio e del loro girovagare.

I venditori ambulanti che battevano i paesi lungo la strada milanese, usufruivano del gamba da lègn che partiva alle 5 diretto a Milano.
Col loro pantramvai nella saccadua come viatico, si disseminavano per i vari paesi e si sparpagliavano nelle frazioni e nei cascinali ad offrire: bombasina, rasà, stufèta, velù, camisi da bòn cumandu ed altri prodotti tessili.
Gli ambulanti che serpeggiavano per i paesi della Val d’Olona erano costretti ad andare a piedi e per questo venivano chiamati marcianti, il cui significato voleva dire “mercanti a piedi”, con un doppio significato facile ad intendere.
D’inverno, ch’era buio come lo spavento, per partecipare alla Messa di beché, la gente usciva intabarrata, col lumicino in mano per farsi luce nelle striminzite strade di campagna popolate da alberi dalla sagoma spettrale, nei vicoli disselciati ed allancati, nelle strade tetre ed imbronciate.
I lumicini apparivano, si affiancavano, si incrociavano e poi sparivano. Sembrava una processione di anime del purgatorio.
Il sacerdote officiante batteva i piedi dal freddo e si soffiava sulle dita; ma non faceva molto rumore perché batteva sul tappeto. Coloro che partecipavano alla Messa, invece, battevano sulla pietra, sicchè sembrava di udire la marcia sonnolenta e disordinata di uno stanco battaglione di soldati in trasferta.
La Messa di Beché era breve, ci stava nella mezz’ora, perché questa categoria di fedeli aveva molte cose da fare ed aveva molta fretta.
Appena finita la Messa i partecipanti uscivano a frotte e a spintoni, allungando le gambe per arrivare in tempo ad aprire la bottega. Mentre i “grappivendoli” accendevano i lumi e pulivano il banco, i macellai battevano con il falcione sul rude ciocco, intenti a far a pezzi i grossi bestioni di molti quintali. Il rumore collettivo era tale ed i colpi così sinistri da dare l’idea di una bolgia infernale.
Nel frattempo la normale Messaprima era finita ed incominciava il traffico mattutino.


Annibale Carracci, la Bottega del Macellaio, 1585
olio su tela, 190 x 271 cm. Oxford, Christ Church Gallery

La Messa di Beché era da considerarsi come la introduzione alle Messe domenicali. Seguivano Messaprima, frequentata massimamente da artigiani e contadini, le altre messe basse per le casalinghe e gli operai, la Messa Grande per i signori e gli altolocati, la Messultima per gli impiegati (allora non c’era il riposo festivo obbligatorio) che erano stati la mattinata in ufficio a disbrigar corrispondenza e a preparare le disposizioni, nonché per gli esercenti le libere professioni, che nella mattinata avevano conferito con i loro clienti.
Da allora ad oggi, tolta la Messa di Beché, ben poco è mutato.
Ogni altra messa ha i suoi abituali frequentatori, sempre dello stesso stampo.
Senonchè, S. Giovanni è ammalato.
Da allora ad oggi è trascorso più di mezzo secolo ed anche il Tempio ne ha risentito. Screpolature, carie, incrinature e via dicendo. S. Giovanni si incurva: ha bisogno di un forte ricostituente. Ha bisogno altresì di alcuni massaggi. I medici sono al lavoro. Ma i medici, dice il Prevosto, vanno pagati ed io non ho soldi!
Come si risolve questa faccenda ?

Tratto da: “ La Basilica di S. Giovanni Battista a Busto Arsizio “ 1949

Carlo Azimonti