Ricette di cucina bustocca

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Ul figasciö (Letto da Ginetto Grilli)
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Süpa da oli
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Ul marlüzzu dáa cassina di poi
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Pulti, fasö e verzi
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Ul lessu
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I pulpétti
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Tradizioni culinarie del giorno della Giöbia
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Verze alla cappuccina
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Stüá in cónscia
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Brusciti (secondo Carlo Azimonti)
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Brusciti (secondo il "Magistero dei Brusciti")
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Brusciti (secondo Ernesto Bottigelli)
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Brusciti (versione commentata)
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Cazoeula (secondo la tradizione Milanese)
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Cazöa (secondo C. Azimonti)
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Ul legua (la lepre)
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Giülèpu
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Risotu da muì pü
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Risotu cunt a lüganiga
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Consigli per un buon risotto
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Minestra e Minestrone
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La Rustisciana (Secondo Carlo Azimonti)
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Pasta e fasö
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Risu, züca e laci
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Le polpette bustocche
Le polpette

Sulle polpette ci si deve soffermare a lungo perchè hanno una ben differente storia fra ciò per cui vennero in origine inventate e ciò che invece può esser considerato, in epoca di abbondanza, una vera leccornia.
Come utilizzo del residuo avanzato dei pasti, si soleva tritare bene la carne, unendola con una pestata di lardo, prezzemolo e aglio, impastando il tutto con poco brodo e aggiungendo pane e formaggio grattati. Per rendere piacevole il sapore si aggiungeva pepe o altre spezie a proprio gusto. Più compatto risultato si ottiene usando l'uovo al posto del brodo (ed anche maggior sostanza !).
Dall'impasto si ottengono piccole pallottole (qualcono le amava grandi come mele, altri più piccole) e le si avvolgeva con pancetta.
In epoca di abbondanza però, la pancetta si sostitui' on una fetta di lonza di maiale. In ogni caso, si legava il tutto con filo sottile per evitare lo sfaldamento del composto al momento della cottura.
La cottura avveniva a fuoco lento nella padella preparata con rosolatura di cipolla e burro, il tutto a fuoco lento.
Come detto, giunta l'epoca di maggior abbondanza, al posto dei residui di carne, si confezionarono l epolpette con tutta roba fresca appositamente preparata per le polpette.
In tal caso, com ebase per la carne si usa pasta di salame, salame di fegato, salsiccia, con pestata di lardo.

Corre qui l'obbligo di riportare un passo dello scritto di Giovanni Rajberti, poeta milanese del secolo XIX, e precisamente un passo del suo L'arte di convitare spiegata al popolo edito nel 1850.

A proposito di polpette: alcuni vorranno sapere se a un pranzo un po’ di riguardo sia lecito servirne: un piatto. … Dico dunque che, stando all’uso, non si dovrebbe farlo, perché l'uso, cioé la pazza moda, ridusse la nostra cucina ad esser imitatrice servile della cucina francese. Ora i Francesi sono talmente orbi e digiuni d'ogni nozione sulle polpette, cha non hanno nemmeno nella loro lingua la parola per significarle, gl’infelici, che si credono il primo popolo del mondo E a ragionar loro di polpette sarebbe come chi facesse ai cannibali il panegirico del Papa.
Le polpette sono una vivanda affatto italiana, anzi dirci, esclusivamente lombarda, per informazioni attinte da autorità gravissime in questa materia. Difatti, nel mio viaggio scientifico del 1845, in occasione del scttimo congresso dei dotti, non mangiai c non vidi mangiar polpette né a Napoli, né a Roma, ne a Genova; e si che io, da osservatore attento e coscienzioso, passavo dai più rispettabili alberghi alle più modeste osterie del popolo.
La vera metropoli delle polpette è Milano, dove se ne fa grande consumo; dove mi ricordo aver sentito molti anni addietro un vecchio conte a esclamare:
“Se si potesse raccogliere tutte le polpette che io ho mangiate in vita mia, vi sarebbe da selciare la città dalla Piazza del Duomo fino al dazio di Porta Orientale".
Pensiero poetico, iperbole sublime, degno d'un gran patrizio principe delle polpette!
Ora, io dimando: se sono una vivanda tutta italiana e nostrale, non e appunto il caso di fame orgogliosa mostra sulle mense migliori? Non difenderemo fino all'ultimo respiro la nazionalità e l`indipendenza... almeno nelle polpette? ….
Taluno potrebbe obbiettare che hanno perduto il loro credito, perche nelle volgari taverne vengono confezionate e infarcite con materie scadenti o peggio ancora con ogni avanzo e rifiuto dei giorni passati.
Ma chi v'insegna di andarle a mangiare nelle osterie del popolacc... volevo dire di quella porzione di popolo che non si deve più chiamar popolaccio? State un po’ a vedere che non si beverà più il vino sincero per la paura dei vini traditori, e che negheremo la dovuta venerazione all’oro, perché i falsarii mandano in circolazione monete di lega ladra.
Dopo questo sfogo di amor filiale verso la cara patria, lascerò che ognuno la pensi a suo modo in tale argomento, e chiuderò con un aneddoto interessante.
Durante il cessato Regno d'Italia (intendo quello che cessò nel 1814) il prefetto di un certo dipartimento era ghiottissimo delle polpettine e ne faceva la sua quotidiana delizia. Occorse, come occorreva spesso, di dover celebrare una vittoria di Napoleone col solito Tedeum e coll'inevitabile pranzo diplomatico.
La sera antecedente, fattosi recare dal cuoco la lista dei piatti, nello scorrerla disse:
- “E le polpette?"
- "Oh, si figuri, almeno per dimani bisogna fame senza: e pranzo di etichetta."
- “Vi dico che voglio le polpette, e non ascolto repliche."
- "Mi perdoni, ma piuttosto lascio qui grembiale e berretta e vado via: ho anch’io le mie convenienze”.
Sopraggiunse la moglie, che, udita la questione, si mise risolutamente dalla parte del cuoco.
Il decoro della carica non permetteva in quel momento ulteriori diverbii, e s`andò dormire. Ma come poteva dormire Sua Eccellenza, avendo in corpo la rabbia di quella disdetta col cuoco, con un vil servitore non pagato nemmeno dall`erario, ma dal suo private peculio? Difatti non chiuse occhio se non dopo aver meditato e fissato un suo disegno di rivincita pel giorno seguente.
Alla mattina, tutto serio e taciturno, si prepara in grand'abito di gala, e quando, alle undici, gli annunziarono che la carrozza era pronta, precipitò come fulmine in cucina, e, piantatosi duro nel mezzo, con la destra sull'elsa della spada, gridò:
- "Cuoco! Ieri sera avete disobbedito al padrone di casa: oggi, intendetemi bene, vi parlo come magistrato e rappresentante del sovrano: comando le polpette !"
e, calcandosi con fierezza sulla testa il cappello piumato, si slanciò sdegnosamente nella carrozza, e corse alla cattedrale a celebrare la vittoria di Napoleone e la propria.

Enrico Candiani



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