Quando, ormai tanto tempo fa, il 6 Gennaio era il giorno dei ‘Re Magi’ e non della ‘Befana’,
i Santi Tre Re, veramente venuti dall’Oriente
pa ‘ndá a truá Gesü arrivavano
con doni in cofanetti preziosi e, nonostante gli splendidi e ricchi
paludamenti, sia loro che i cammelli e tutto il
manaésciu del seguito, lasciavano ben poca cosa.
Bastava una scarpa o una zoccola, poste sul davanzale la sera della
vigilia, a raccogliere una manciata di frutta secca e qualche
menecristu
(caramelle di zucchero arrotolate in veline colorate e frangiate d’ambo i
lati).
Ora il 6 Gennaio è il dì della Befana. La vecchia ossuta, la nasuta stracciona
che viene da chissà dove cavalcando una scopa, che cava da una bisaccia doni
ben più costosi.
Al tempo dei Re Magi il più fortunato riceveva, da qualche nonno generoso, un
caurén (moneta da due lire coniata ai tempi di Cavour); agli altri, come ho detto,
una brancaá
da zacarèi, nusi, spagnuléti nisciòi (per i lontani dal nostro dialetto: noci, mandorle, arachidi e nocciole) e in più
ul marcedi (la paghetta) nonostante non fosse Domenica.
Era il giorno della recita dei bambini dell’asilo a favore della “Sant’Infanzia” in Chiesa Vecchia. Lì, un anno, era toccato anche a me. Raccoglievo i soldini per i bimbi africani e, tinta la faccia di nero dalle
suore col turacciolo affumicato, andavo su e giù per la navata gridando una poesiola di cui ricordo solo l’inizio:
Cin ghèi, cin ghèi
par chi fiuìti africàn
cha g’han non da mangia
ne incö ne dumán!
(sempre per gli scarsi nel dialetto: Cinque centesimi, per i bimbi africani che non hanno da mangiare, né oggi, né domani!)
Tre giorni prima si posavano in un angolo del presepe le tre statuine coronate
e sempre un solo cammello (certi poveri presepi non avevano neanche quello) e
di tanto in tanto si spostavano in avanti finché il mattino dell’Epifania erano
schierati davanti alla Capanna. Il viaggio dei Re Magi era terminato.
Quanto cammino si è fatto anche noi, ma non a piccole spinte ma ad urtoni; e
non per andare alla Capanna, ma per trovarci tra i piedi la Befana, amica di
quel pacioso Babbo Natale, rubicondo pancione che non se ne può più.
Per i più piccoli, fin quando durava la credula innocenza, restava un mistero
il non sentire mai, sia pure nella notte alta, il trambusto del loro arrivo. E
dire che erano in tre, con tre cammelli e la stella che riempiva gran parte del
cielo.
Ui Vanzaghelòn, che abitava nello
staiasciu di via Principe Umberto di Savoia (ora via Biagio
Bellotti), un grosso cortile con 7 latrine e 5 stalle, a due passi da casa mia,
faceva credere, e noi piccoli quasi ci credevamo, che sostavano lì per fare la
pipì, e i cammelli anche il resto. Ma nessuno ne trovò mai traccia, in ogni senso.
E sta bene. Non erano i Re Magi che riempivano le scarpe sui davanzali. Ma che al loro posto si voglia
mettere la vecchia che:
..vien di notte
con le scarpe tutte rotte..
beh, se è così tenetevela pure.
Noi continuiamo con le nostre tradizioni, i nostri presepi, i nostri ‘Tu scendi
dalle stelle’, le recite natalizie scolastiche che tanto disturbano i sinceri
rispettosi delle diversità. Questo, sia ben chiaro, non è l’elenco delle
nostalgie, non sono magoni e sospiri sul ‘buon tempo antico’. Anche perché
allora si faceva fatica a stare al mondo e si aggiustavano, invece di buttarli,
i calzini, infilandovi l’uovo di legno. C’è posto ‘anche’ per altre usanze; ma
sostituire i Santi Tre Re Magi con la laica vecchia stracciona..
Mah!
Sa t'é a dì? An inscì da idèn!
Ginetto Grilli